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Sono circa 1 milione gli italiani che hanno sconfitto il cancro, eppure per la burocrazia sono ancora malati. Pur guariti da un tumore, infatti, rischiano discriminazioni nell’accesso a servizi come l’ottenimento di mutui, la stipula di assicurazioni sulla vita, l’assunzione in un posto di lavoro e l’adozione di un figlio. Per questo motivo la Fondazione Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) lancia la prima campagna per il riconoscimento del 'diritto all’oblio oncologico', con lo slogan ‘Io non sono il mio tumore’. L’obiettivo: ottenere una legge che tuteli le persone che hanno avuto una neoplasia e che ora, per questo, vivono discriminazioni sociali.

“Oggi - si legge in una nota della Fondazione - per richiedere molti servizi è necessario dichiarare se si è avuto il cancro, anche se si è già guariti. A sostegno dell’iniziativa sono stati realizzati la prima guida sul diritto all’oblio oncologico, un portale web (dirittoallobliotumori.org) e una forte campagna social, per promuovere la raccolta firme. Lo scopo è raggiungere 100mila adesioni, che verranno portate al presidente del Consiglio per chiedere l’approvazione della legge. Tutti potranno contribuire lasciando il proprio nome, sia online che nei reparti di oncologia e nelle piazze: pazienti, caregiver, familiari, cittadini. La guida è scaricabile dal sito e sarà distribuita negli ospedali, per informare chi ancora non è a conoscenza di questa opportunità e invitarlo ad agire perché le cose possano cambiare. Il portale offre inoltre ai pazienti la possibilità di raccontare la propria storia, per mettere in luce il problema e condividere le esperienze”.

Le persone guarite dal cancro “devono essere libere di guardare al futuro senza convivere con l’ombra della malattia – afferma Giordano Beretta, presidente di Fondazione Aiom –. Oggi sono 3,6 milioni i cittadini che vivono con una diagnosi di tumore. Il 27% di loro, circa un milione, è guarito. C’è una forte discriminazione sociale nei loro confronti, che deve essere combattuta. Come Fondazione Aiom abbiamo deciso di provare a cambiare le cose: con la campagna ‘Io non sono il mio tumore’, vogliamo portare attenzione su un tema così importante. La legge permetterebbe di non essere più considerati pazienti dopo 5 anni dal termine delle cure se la neoplasia è insorta in età pediatrica e dopo 10 se ci si è ammalati in età adulta".

"Oggi, grazie all’innovazione dei percorsi terapeutici, molti tumori vengono curati - prosegue Beretta - e altri possono essere cronicizzati: per questa ragione i pazienti che vivono anche a molti anni di distanza da una diagnosi sono aumentati e così le persone che trarranno benefici da questo provvedimento".

"Ogni neoplasia richiede un tempo diverso perché chi ne soffre sia definito ‘guarito’: per il cancro della tiroide sono necessari meno di 5 anni dalla conclusione delle cure, per il melanoma e il tumore del colon meno di 10. Molti linfomi, mielomi e leucemie e i tumori della vescica e del rene richiedono 15 anni. Per essere ‘guariti’ dalle malattie della mammella e della prostata ne servono fino a 20. Il riconoscimento del diritto rappresenta la condizione essenziale per il ritorno a una vita dignitosa ed è necessario all’abbattimento del connubio ‘cancro significa morte’, che crea barriere spesso insormontabili – sottolinea Beretta –. Negli ultimi due anni molti Paesi europei hanno emanato una legge che garantisce agli ex pazienti il diritto a non essere rappresentati dalla malattia. L’Italia deve assolutamente seguire questo esempio", conclude.

“Noi pazienti – dichiara Monica Forchetta, membro del Cda di Fondazione Aiom e presidente dell'Associazione pazienti Italia melanoma (Apaim) - sappiamo cosa significhi essere trattati da persone fragili, perennemente malate. La neoplasia spesso diventa un’etichetta, anche quando non c’è più. Oggi, però, le persone guarite sono così tante che è necessario rendersi conto dell’entità del problema e intervenire per risolverlo".

24/01/2022

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