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Mira a promuovere l’equità di genere all’interno delle professioni sanitarie il progetto SeGeA (Sex and gender approach) presentato in Senato nei giorni scorsi. L'iniziativa, promossa dalla Federazione nazionale degli Ordini Tsrm e Pstrp - è nata su impulso dell’Applicazione e diffusione della medicina di genere nel Servizio sanitario nazionale (art. 3, legge 3 del 2018) ripresa nel recente decreto interministeriale del ministero della Salute e del ministero dell’Università e della ricerca dello scorso 11 aprile, riguardante il ‘Piano formativo nazionale per la medicina di genere’. L'evento ha rappresentato un'importante occasione per approfondire l'applicazione della medicina di genere nel contesto sanitario e per discutere le strategie necessarie per garantire una salute equa per tutti, indipendentemente dal genere. L'obiettivo finale è promuovere un cambiamento culturale e professionale che consenta un accesso più equo e mirato alle cure sanitarie per ogni individuo.

“Non possiamo permetterci di rinunciare al prezioso insieme di idee, pensieri e contributi intellettuali delle donne, soprattutto quando rappresentano il 68% dei nostri professionisti. Questo evento rappresenta un'importante occasione per ribadire l'importanza di aver investito in questo progetto e per sottolineare il nostro impegno costante verso la promozione dell'uguaglianza di genere”, commentano Giovanni De Biasi, membro del Comitato centrale della Federazione nazionale degli Ordini dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione (Fno Tsrm Pstrp) insieme a Fulvia Signani, presidente di l'Associazione di promozione social Engendering Health (EngHea), alla presentazione del progetto.

L’iniziativa ha previsto due momenti. Una prima fase di indagine sullo stato di lavoro e di vita dei 170 mila professionisti sanitari iscritti agli Ordini Tsrm e Pstrp, al fine di rilevare eventuali diseguaglianze di genere, su cui costruire una seconda fase formativa utile all’avvio della costruzione di una “comunità competente” sull’approccio.

Dall’indagine è emersa una visione stereotipata sul ruolo di genere, da parte sia di uomini che di donne. Il questionario, composto appositamente assemblando scale validate e ricavate da letteratura nazionale e internazionale, ha visto l’accesso di più di 11mila professionisti sanitari. Di questi, 6.430 contributi sono stati completati e ritenuti statisticamente validi per le successive analisi. L’1% ha preferito non dichiarare il genere, mentre, il 77% si è riconosciuto sotto la definizione “donna”, con proporzioni numeriche che rispecchiano il rapporto maschi/femmine degli iscritti alla Federazione nazionale. Dall’incrocio di risposte diverse emerge l’elemento significativo che le donne/professioniste risultano ancora molto condizionate dal ruolo tradizionale di persona dedita alla ‘cura domestica’. Nel quasi 80% dei casi le donne/professioniste, oltre al lavoro, si prendono cura di qualche famigliare, tanto da riportare un alto livello di ‘conflitto multi-ruolo’, la situazione cioè di coloro che devono conciliare, non senza difficoltà, la vita privata e quella professionale. Dato che si manifesta concretamente anche nel fatto che il 23% delle donne, rispetto al 7% degli uomini, decide di svolgere la propria professione part-time, con le evidenti ed ovvie penalizzazioni di carriera.

Dalla survey emerge che gli uomini si riconoscevano complessivamente sia come “protettori delle donne” e “persone che hanno bisogno delle cure femminili” (in termini tecnici si parla di sessismo benevolo o benevolente), sia come esseri “controllanti” le donne stesse (sessismo ostile). Queste ultime, a loro volta, si riconoscevano come “persone da proteggere” e “fragili”, ma anche critiche nei confronti delle altre donne che manifestano il desiderio di sovvertire l’ordine “naturale” delle cose (aspetto che rivela sessismo ostile anche nelle donne, caratteristica presente comunque in quota minore rispetto agli uomini). Questi aspetti, sommati a una dichiarata discriminazione percepita (da parte delle donne, più degli uomini), influenzano significativamente la soddisfazione sia professionale, sia personale.

Alla luce di questi dati elementi, è stata messa a punto “Incipit”, la prima delle due formazioni a distanza (Fad), volta a presentare sia i concetti fondamentali dell'approccio di differenze e sesso/genere, sia a indagare, con un’originale configurazioni informatica che ha consentito un breve sondaggio all'interno della Fad stessa, sulle conoscenze su tre temi fondamentali (infarto, tumore al seno, osteoporosi). L’altra formazione a distanza è stata denominata “20 ore di medicina di genere”. Il tema di salute pubblica riguardante la violenza di genere, ormai configurato a livello internazionale come parte integrante della medicina di genere, è stata occasione di approfondimento, come pure le conseguenze del ruolo di caregiver sulla salute delle persone che assistono i familiari. Non sono mancati suggerimenti su argomenti molto attuali come il microbiota e come differisce tra maschio e femmina, nonché aspetti spesso trascurati legati alla comunicazione dei rischi e alle conoscenze sugli effetti degli inquinanti. Le prime due edizioni delle Fad hanno visto la partecipazione di oltre 4mila operatori della salute.

L’Italia - si è ricordato nel corso dell’evento - è stata il primo Paese in Europa a formalizzare l’inserimento del concetto di “genere” in medicina, indispensabile a garantire ad ogni persona la cura migliore, rispettando le differenze e arrivando a una effettiva “personalizzazione delle terapie”. Per formare i professionisti della salute di domani è necessario offrire i migliori strumenti tecnologi, ampliare le loro possibilità di usare la robotica riportando al centro quella cura che non è un elenco di sintomi e terapie, ma la somma di osservazioni, di contatti e di dialogo.

La promozione di un approccio attento alle differenze di sesso/genere porterà beneficio non solo agli assistiti, ma anche ai professionisti sanitari stessi. Un'attenzione mirata alla specificità di genere consentirà di migliorare la qualità delle cure, aumentare l'efficacia dei trattamenti e prevenire potenziali danni legati a disuguaglianze di genere nel campo della salute. A tra le proposito, hanno concluso gli esperti - è necessario quindi sollecitare le Istituzioni a sviluppare programmi per la conoscenza, la formazione e la promozione della salute e prevenzione delle malattie, investire nei sistemi di prevenzione e assistenza primaria, trasferire l'assistenza sanitaria su territorio potenziando le cure ambulatoriali e domiciliari più accessibili e meno costose, con una particolare attenzione al rapporto tra indicatori di genere e sostenibilità sociale. L’auspicio è che la dimensione di genere nella salute diventi presto strumento di governo e di programmazione sanitaria.

17/07/2023

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