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Dallo studio dell'attività musicale dei grandi compositori, musicisti di successo del secolo scorso, le vite spesso travagliate e segnate da drammatiche vicende cliniche legate a gravi malattie neurologiche, si possono trarre informazioni utili per le neuroscienze. Ne è convinto Lorenzo Genitori, direttore della Neurochirurgia all'ospedale pediatrico Meyer di Firenze che, in occasione del 62esimo congresso nazionale della Società delle neuroscienze ospedaliere (Sno) il prossimo settembre, terrà la sua lettura magistrale dal titolo 'Musica e Medicina: come la storia dei grandi compositori e delle loro malattie può aiutare lo studio della mente umana'.

"Oggi sappiamo che quello che molti maestri della musica vivevano – afferma Genitori - erano sintomi di malattie neurologiche o neurodegenerative. Al centro della mia lettura magistrale 'Musica e Medicina' affronterò i principali studi realizzati nell'arco di un decennio sulla relazione tra le malattie presentate dai grandi compositori dell'800 e del '900 e la loro produzione musicale; mi soffermerò anche sulle ultime ricerche nel campo delle neuroscienze e delle reazioni del cervello di fronte ai diversi stimoli musicali". Il lavoro dell’esperto parte da due musicisti, Maurice Ravel e George Gershwin, “in apparenza molto diversi tra loro”, ma le cui vite “si sono incrociate in maniera inaspettata. Nello stesso anno (1937) hanno subito entrambi un intervento di chirurgia cerebrale, per ragioni diverse – spiega il neuroscienziato - che li ha condotti ad una morte prematura. Questa premessa ci aiuta già a capire il fenomeno della composizione e della interpretazione musicale con l'ausilio dei dati moderni delle neuroscienze".

Riguardo il modo in cui oggi la musica può essere d'aiuto alle neuroscienze, Genitori non ha dubbi: "Le immagini in risonanza magnetica funzionale, ad esempio - sottolinea - ci consentono di affinare la nostra conoscenza in merito agli stimoli del cervello dinanzi alla musica. E non parliamo soltanto di aree acustiche, ma anche di aree del cervello che interpretano quello che si ascolta. Alcuni esperimenti eseguiti su soggetti diversi (esperti musicologi oppure persone senza alcuna conoscenza musicale) hanno dimostrato come molteplici aree di attivazione cerebrali aumentino il loro metabolismo durante l'ascolto di brani musicali”.

E snocciola alcuni esempi: “mentre un pianista esperto ascolta un brano che conosce bene - dice - in genere attiva soltanto poche aree cerebrali; se invece si aggiunge allo stesso brano una improvvisazione o uno strumento che non conosce, in quel caso si moltiplicano le aree cerebrali. Questo significa che l'ascolto si arricchisce di nuove analisi e il cervello tenta di dare nuovi significati a questa esperienza sensoriale. Esperimenti del genere hanno contribuito all'evolversi di molteplici tecniche chirurgiche". Tecniche “che si sono evolute negli ultimi 20 anni – evidenzia Genitori - e che sono utilizzate soprattutto nella neurochirurgia degli adulti e mai in età pediatrica, poiché prevedono che durante l'intervento il paziente sia vigile e collaborativo. In alcuni casi, con la musica si riesce a mappare perfettamente alcune aree nobili del cervello, ossia quelle funzionali, e ad evitarle durante l'intervento".

Secondo il neuroscienziato, musica e cervello umano “sono strettamente collegati tra loro”. “Sappiamo, per esempio, che l'ascolto di una piacevole sinfonia provoca il rilascio di dopamina (neurotrasmettitore che accresce il senso di benessere), aumenta la circolazione del sangue e regola il battito cardiaco attraverso la stimolazione di alcuni nuclei ipotalamici destinati al senso del piacere. Allo stesso modo, l'ascolto di dissonanze esercita sul cervello fenomeni come disgusto, nausea, vertigine e sensazione di disagio o confusione. Inoltre, è verosimile che esistano nel nostro cervello dei diversi network associativi, che permettano a ciascuno di noi di 'ascoltare' la musica in modo diverso" conclude.

15/06/2023

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