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In Italia, appena il 5 per cento delle donne under 40 colpite da tumore al seno riesce ad avere figli dopo la malattia. Tuttavia, la ricerca aumenta le speranze. Le giovani donne con carcinoma mammario in stadio iniziale, infatti, possono interrompere per due anni la terapia ormonale adiuvante (cioè successiva all’intervento chirurgico) per cercare una gravidanza. È quanto emerso all’ultimo convegno internazionale su questa neoplasia, il San Antonio Breast Cancer Symposium, che si è tenuto negli Usa.

Secondo uno studio che ha coinvolto 518 donne di età pari o inferiore a 42 anni con carcinoma mammario in stadio iniziale positivo per i recettori ormonali, la terapia endocrina viene somministrata per ridurre il rischio che la malattia si ripresenti: la ricerca ha dimostrato che il tasso di recidiva a tre anni è stato dell’8,9%. Non solo, il 74% delle donne ha avuto almeno una gravidanza, che è terminata con successo nel 64% dei casi.

In Italia, però, il desiderio di diventare madri dopo la malattia continua a essere sottovalutato. È necessario implementare i percorsi dedicati alla prevenzione dell’infertilità nelle pazienti oncologiche in tutte le Regioni, attraverso strutture multidisciplinari, che diano vita ad una Rete di centri di Oncofertilità. “In circa il 70% dei casi il carcinoma della mammella presenta i recettori ormonali positivi e richiede per un periodo di 5 anni il trattamento adiuvante con la terapia endocrina – spiega Lucia Del Mastro, professore ordinario e direttore della Clinica di oncologia medica dell’Irccs ospedale policlinico San Martino, Università di Genova - che da un lato riduce il rischio di recidiva, dall’altro sopprime la funzione ovarica e, quindi, la possibilità di avere un figlio”. Le sperimentazioni condotte fino a oggi “avevano dimostrato la sicurezza della gravidanza al termine delle cure anticancro – aggiunge Del Mastro -. Per la prima volta, uno studio evidenzia che, dopo almeno un anno e mezzo, è possibile sospendere la terapia endocrina per due anni con l’obiettivo di avere un figlio, per poi riprendere il trattamento. Sono state osservate anomalie congenite nel 2% dei bambini, percentuale simile alla popolazione generale, e il 60% delle donne ha allattato”.

In Italia nel 2022 sono state stimate 55.700 nuove diagnosi di carcinoma della mammella, il 5% riguarda donne under 40.

Oggi, nel nostro Paese, “la bassa percentuale di giovani pazienti” che riescono ad avere un figlio dopo il tumore del seno “contrasta nettamente con il 50% di donne che, al momento della diagnosi, dichiara di desiderare una maternità per diversi motivi – sottolinea Del Mastro –. Sicuramente vi è il fatto che finora le donne con neoplasia endocrinoresponsiva dovevano aspettare almeno 5 anni prima di provare ad avere una gravidanza, andando quindi incontro a un’età più matura”.

Secondo l’oncologa nel nostro Paese “vanno create collaborazioni strutturate fra le oncologie e i centri di procreazione medicalmente assistita, per rispondere tempestivamente alle richieste delle pazienti. L’aspetto fondamentale delle tecniche di preservazione della fertilità è il tempismo: ad esempio la crioconservazione degli ovociti deve avvenire prima dell’inizio della chemioterapia. La creazione di una Rete consente di definire percorsi dedicati e riconosciuti, oggi presenti solo in alcuni ospedali”.

13/01/2023

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