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La policitemia vera (PV) è una neoplasia mieloide determinata da un’alterazione delle cellule del midollo osseo e dalla conseguente proliferazione incontrollata delle cellule del sangue, soprattutto di globuli rossi e, in maniera minore, di globuli bianchi e piastrine. L’etimologia aiuta a capire la natura di questa malattia: poli sta per “molti”, cito sta per “cellule” ed emia indica il “sangue”. Da un punto di vista letterale policitemia vuole quindi dire “molte cellule nel sangue”. Questa patologia cronica è caratterizzata da un decorso progressivo, generalmente molto lento, con possibile evoluzione in mielofibrosi secondaria o in leucemia acuta, e da un abbassamento dell'aspettativa di vita, che comunque si attesta in media oltre ai 10 anni, anche grazie alle recenti scoperte e innovazioni legate alla diagnostica ed ai trattamenti.

Chi colpisce la policitemia vera

Si tratta di una malattia rara: la sua incidenza viene stimata tra 2,3-2,8/100.000 persone e vengono colpiti maggiormente soggetti di sesso maschile con un rapporto 1,2:1. Nel 95% dei casi circa si riscontra una specifica mutazione JAK2 (Janus Activated Kinase 2), gene che svolge un ruolo fondamentale all’interno del processo di generazione delle cellule del sangue. In quanto mutazione acquisita, non viene trasmessa da genitori a figli. La policitemia vera viene diagnosticata generalmente in età avanzata, in media attorno ai 60 anni. (dati AIL, Associazione italiana contro leucemie, linfomi e mieloma)

Quali sono i sintomi?

La malattia può presentarsi in maniera asintomatica; in caso si manifestino sintomi, i più comuni sono:

  • ingrossamento della milza (splenomegalia), che nei casi più gravi porta a sazietà precoce, comprimendo lo stomaco
  • stanchezza
  • arrossamenti del volto
  • problemi alla vista, all’udito (sono dovuti a occlusione dei vasi di piccolo calibro) •disturbi della sensibilità delle mani e dei piedi (scarsa sensibilità, formicolii)
  • prurito
  • febbre
  • sudorazione notturna
  • perdita di peso

Il ruolo della diagnosi precoce

L'elevato ematocrito tipico della policitemia vera, ovvero la percentuale di globuli rossi nel sangue, indica un aumento della densità del sangue che si può accompagnare anche ad un aumento del numero di globuli bianchi e piastrine. Questa aumentata densità rende più viscoso e meno fluido il sangue all’interno delle pareti dei vasi, esponendo il paziente affetto da policitemia vera ad un maggior rischio di sviluppare eventi trombotici e in particolare: infarti del miocardio, ischemie cerebrali e trombosi delle vene profonde. Al fine di ridurre il più possibile questi rischi, è fondamentale effettuare una diagnosi precoce. In questa prospettiva negli ultimi anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rivisto e diminuito i livelli soglia di emoglobina ed ematocrito per fare diagnosi, in modo da individuare anche i soggetti affetti dalla cosiddetta policitemia vera mascherata: questa patologia ha caratteristiche istologiche e molecolari simili alla classica policitemia, ma le persone che ne sono affette manifestano valori più bassi di emoglobina. Una diagnosi precoce, soprattutto in pazienti giovani, permette un rapido accesso alle terapie e una riduzione del rischio di complicanze, soprattutto a livello cardiovascolare.

Altri elementi da considerare a livello diagnostico sono la biopsia midollare e la presenza della mutazione molecolare V617F di JAK2, che, come abbiamo visto, caratterizza la quasi totalità dei malati. Un criterio minore è dato dal livello di eritropoietina, l’ormone che stimola la crescita dei globuli rossi, che in pazienti affetti da policitemia vera risulta essere inferiore alla norma, come risposta dell’organismo all’eccesso di globuli rossi.

La diagnosi avviene di frequente in maniera casuale, dopo esami del sangue di controllo che fanno sorgere il dubbio diagnostico e riescono a far emergere la presenza della malattia anche nei soggetti asintomatici.

Personalizzazione della terapia e sostegno a paziente e familiari

In caso di sospetta policitemia vera, il paziente deve rivolgersi ad un medico ematologo, che sarà in grado di verificare la diagnosi e definire la terapia più adeguata. L’obiettivo terapeutico principale è quello di limitare la progressione della malattia e ridurre il rischio di trombosi del paziente.
La terapia viene calibrata a seconda dell'età, dei parametri ematici e della storia clinica del paziente (pregressi eventi trombotici). Una diagnosi di questo tipo genera di solito molta paura e incertezza, anche a causa della scarsa conoscenza riguardo le caratteristiche della patologia, le possibilità di trattamento e la gestione più appropriata dei sintomi. Una corretta informazione è importante per non far sentire soli i malati e i loro familiari e per assicurare il necessario sostegno, sia da un punto di vista prettamente medico che da quello psicologico. Un approccio terapeutico veramente efficace mira infatti non solo ad allungare l'aspettativa di vita, ma anche ad assicurarne una buona qualità.

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